Il diabete

Comprendere le basi del diabete è il primo passo per avere il controllo sulla propria salute

Diabete mellito cos’è?

Il Diabete Mellito è una malattia cronica che si manifesta quando il nostro organismo non riesce più a produrre una quantità sufficiente di insulina. L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule Beta del pancreas che interviene nel metabolismo dei carboidrati (detti anche zuccheri o glucidi), in particolare è coinvolta nell’assorbimento del glucosio (uno degli zuccheri più importanti del nostro organismo) dalla circolazione sanguigna alle cellule del nostro corpo, che lo utilizza come fonte di energia.

In tutte le forme di Diabete Mellito l’insulina è carente o non svolge correttamente la sua funzione, facendo aumentare i livelli (concentrazione) di glucosio nel sangue, generando una condizione di iperglicemia (aumento del glucosio nel sangue).

Ecco perché la diagnosi del Diabete mellito si effettua, in prima battuta misurando la glicemia (concentrazione di glucosio nel sangue) Esistono diversi tipi di diabete, la forma più comune è il Diabete Mellito di Tipo 2 (DMT2) e si riscontra generalmente nella persona adulta; meno frequente è il Diabete Mellito di Tipo 1 (DMT1), che può manifestarsi sin dall’età pediatrica. Se trascurati i livelli elevati di glucosio nel sangue (iperglicemia) possono provocare danni a molti tessuti del corpo, portando allo sviluppo di complicanze invalidanti che, se progrediscono nel tempo, possono essere anche rischiose per la vita.

Cause e fattori di rischio del diabete mellito

Si calcola che in Italia siano circa 4 milioni le persone affette da diabete, mentre circa 2 milioni di persone, pur non avendo il diabete conclamato, mostrano difficoltà a mantenere la glicemia sotto controllo a digiuno o dopo il pasto.

In particolare, si parla di:

▪ alterata glicemia a digiuno (impaired fasting glucose IFG) quando i valori della glicemia a digiuno sono tra 100 e 125 mg/dL;

▪ ridotta tolleranza al glucosio (impared glucose tollerance IGT) quando i valori della glicemia, due ore dopo carico orale di glucosio, sono tra 140 e 199 mg/dL.

Il test OGTT (curva da carico di glucosio) viene normalmente richiesto dal medico quando, con alterata glicemia a digiuno senza diagnosi conclamata di diabete mellito, il paziente presenta una o più delle seguenti condizioni che sono associate a un aumentato rischio di sviluppare la malattia:

· ipertensione arteriosa

· soprappeso – obesità

· alterato valore dei lipidi nel sangue (colesterolo HDL <35 mg/dL e/o trigliceridi > 250 mg/dL)

· fumatore

· malattie cardiovascolari

· parente di primo grado con diabete di tipo 2

· elevata adiposità viscero addominale

Sintomi del diabete

I principali sintomi del diabete mellito, che possono indurre il sospetto di diagnosi della malattia, sono l’aumento della frequenza di minzione (poliuria) e il conseguente aumento della necessità di introdurre liquidi (sete intensa o polidipsia) per compensarne le perdite dovute alla poliuria, fame costante, carenza di energia e stanchezza, intorpidimento delle estremità (mani e piedi), vista offuscata.

In presenza di questi sintomi della malattia, la diagnosi di diabete è confermata se, anche in una sola occasione, la misurazione di glicemia effettuata in un momento casuale della giornata è ≥ 200 mg/dL (indipendentemente dall’assunzione di cibo).

In assenza dei tipici sintomi della malattia, la diagnosi di diabete è confermata se, in almeno due diverse occasioni, riscontriamo questi valori di misurazione:

Alimentazione

L’alimentazione del bambino diabetico è sostanzialmente simile a quella del bambino non diabetico e deve avere come obiettivi: accrescimento armonico, peso ideale, attività fisica normale. Combinata alle dosi di insulina, deve potere consentire un controllo ottimale della glicemia.

La sola iniezione di dosi appropriate di insulina non è sufficiente a tenere sotto controllo la glicemia. Se con l’alimentazione si introducono nell’organismo quantità esagerate di glucosio, l’equilibrio è molto più difficile da raggiungere. Aumentare le sole dosi di insulina non è un buon espediente anche se il provvedimento consente di salvaguardare transitoriamente l’equilibrio. Si crea in realtà un circolo vizioso dal quale bisogna uscire al più presto se non si vuole ingrassare: l’alimentazione eccessiva causa l’aumento della glicemia; la correzione dell’iperglicemia porta all’impiego di dosi crescenti di insulina; l’iperinsulinizzazione causa fame; la fame, introduzione di cibo; l’eccesso di alimentazione, iperglicemia… e così di seguito.

Il calcolo delle calorie

Anche se il fabbisogno di calorie è influenzato da differenti fattori, il suo calcolo può essere compiuto, con ragionevole approssimazione, in base all’età del giovane mediante una semplice formula:

  • fino agli 8 anni di età: 1000 cal. + 100 cal/anno di età;
  • oltre gli 8 anni di età: 1400 cal. + 50 cal/anno di età fino a un massimo di 2800 calorie per i maschi e di 2200 per le femmine adolescenti.

Contenuto calorico dell’alimentazione

Le calorie sono fornite da carboidrati (zuccheri), grassi e proteine.

La quantità di carboidrati (1 gr = 4 cal.) introdotti dev’essere fornita in maniera da coprire il 55% circa delle calorie totali e accompagnata da una congrua quantità di fibre vegetali, specie idrosolubili (legumi, frutta, verdura). Sono da preferirsi cibi contenenti carboidrati complessi (es: pasta, riso, patate, pane). E giusto tenere presente che questi ultimi, a parità di contenuto di carboidrati, modificano la glicemia in maniera differente: le modifiche più importanti le produce il pane; quelle intermedie, il riso e le patate; le più modeste, la pasta.

Le proteine (1 gr = 4 cal.) devono rappresentare circa il 15% delle calorie ingerite. Possono essere di origine animale (latte, formaggi, carne, uova, pesce) o vegetale (legumi secchi, riso, pasta).

I grassi (1 gr = 9 cal.) sono contenuti in carne, formaggi, burro, latte, pesce, uova, oli vegetali, ecc. e devono fornire circa il 30% delle calorie totali. Sono consigliati grassi di origine vegetale.

Vitamine e sali minerali non apportano calorie; sono indispensabili al nostro organismo e sono contenuti in quantità adeguata in un’alimentazione bene equilibrata.

Distribuzione dei pasti

Si consiglia di distribuire la razione calorica in:

  • 2 pasti principali, pranzo e cena;
  • 3 pasti secondari, prima colazione, spuntino a metà mattina e merenda;
  • 1 spuntino prima di coricarsi per chi ne ha l’abitudine.

Le liste di scambio

Per chi vuole evitare un’alimentazione monotona, sono state ideate liste di scambio che consentono di praticare sostituzioni sugli alimenti dello schema-base.

Edulcoranti: Lo zucchero comune (saccarosio) può essere sostituito con edulcoranti sintetici quali saccarina, ciclamato e aspartame, gli unici che non forniscono calorie. Sconsigliati i cosiddetti “dolci per diabetici”.

I cibi dolci

Quella pediatrica è un’età golosa e la possibilità di consumare cibi dolci è molto importante per i ragazzi diabetici. Le richieste non sono di dolcificare bevande (quasi l’80% dei nostri pazienti dichiara di non avvertire la necessità di dolcificare il latte della prima colazione), ma piuttosto di potere consumare torte o gelati. A parte che veri e propri dessert possono essere preparati ricorrendo a ripieni a base di gelatina al posto di creme o di albume invece che uova intere o ancora latte scremato in sostituzione di quello intero, torte e gelati possono essere consumati senza produrre ripercussioni importanti sulla glicemia. E sufficiente consumarli all’interno di un pasto in presenza di verdure ricche di fibre.

A questo proposito ci sembra sufficientemente indicativa una nostra duplice esperienza: la prima, compiuta dai pazienti a domicilio, è consistita nella sostituzione giornaliera di alcuni cibi tradizionali con altri cibi “dolci” in modo da portare la quota di carboidrati semplici dal 14 al 18%; la quantità di fibre consumata giornalmente era di 15-20 g. Alla fine dei 15 gg di alimentazione con dessert non sono state osservate significative modificazioni nei valori medi di glicemia, colesterolo totale e HDL, trigliceridi e HbAlc; la seconda esperienza è stata compiuta ai campi estivi per l’istruzione per ragazzi diabetici: nel corso di un’alimentazione contente 30% di lipidi, 15% di proteine e 15-20g di fibre/die, è stato servito a giorni alterni un comune gelato da passaggio come dessert o come merenda.

Il gelato non ha prodotto un incremento della glicemia post-prandiale (1 05±54 mg/dl) diverso da quello osservato nei giorni senza gelato (110±61 mg/dl); al contrario, l’incremento della glicemia calcolato 90’ dopo l’assunzione di gelato per merenda (192±32 mg/dl) era molto superiore (p<0.01) a quello (94±25 mg/dl) dei giorni con merenda tradizionale.

Non è quindi necessario rinunciare a un dessert dolce: è sufficiente consumano nell’ambito di un pasto completo e ricco di fibre.

Le fibre

Alle fibre è ampiamente riconosciuto un benefico effetto sul metabolismo lipidico e glucidico. Vanno quindi consigliate raccomandando alimenti come legumi, verdure a foglia verde, frutta e tutti i cibi di cereali integrali. I bambini più piccoli possono mal tollerare una grande quantità di fibra accusando dolori addominali, salvo frequente e flatulenza: per evitarli, basta introdurli progressivamente. Non è possibile stabilire una dose giornaliera da raccomandarsi:

  • una meta realistica sarebbe l’assunzione di 10 gli 000 kcal/die attraverso gli alimenti prima indicati.

Il contenuto in fibre può essere aumentato con il consumo di alimenti contenenti, ad esempio, guar facilmente reperibili sul mercato.

Salse e Fast-food

La prevenzione dell’ipertensione arteriosa va incominciata già in età pediatrica. L’elaborazione di oltre 8000 valori pressori rilevati in ambulatorio ai nostri pazienti ha rivelato che vi è una tendenza di questi all’aumento durante l’età puberale, oltre i limiti fisiologici. Questa osservazione deve indurre a consigliare modeste e accettabili restrizioni dell’apporto di sodio: la sua quantità non dovrebbe superare i gli000 kcal senza eccedere comunque i 3 g/die. Diamo un consiglio pratico a tutte le famiglie: evitate di mettere in tavola saliera e salse. È efficace.

La strategia di prevenzione dell’ipertensione non deve sottovalutare il rischio rappresentato dai Fast-food. Da un’indagine fra i nostri pazienti e i loro compagni di classe si è potuto sapere che:

  • il 73% dei ragazzi consuma saltuariamente questi cibi;
  • il 14% due volte alla settimana;
  • il 13% una volta.

Se la dieta usuale è bilanciata, un pasto occasionale di questo tipo non arreca danno; ma lo può arrecare se diventa un’abitudine. Una regola semplice può consistere nell’assumere il “fast-food” solo all’ora del pasto principale accompagnandolo con porzioni di verdura ricca di fibre ed evitando l’uso di ketchup e senape, a causa del loro elevato contenuto dì sodio e grassi (presi insieme soddisfano circa il 20% della quota giornaliera raccomandata di sodio).

Tratto dal manuale “Assistenza al bambino e all’adolescente con il diabete” del Prof. Maurizio Vanelli – Parma

vanelli@unipr.it

Attività fisica

Fatta eccezione per alcune attività fisiche sportive particolarmente impegnative, quali alpinismo e immersioni subacquee, non vi è attività fisica incompatibile con il diabete. Alla condizione però che si prendano le dovute precauzioni per prevenire le possibili ipoglicemie.

Il comportamento da tenersi varia a seconda dell’intensità dello sforzo fisico:

  • per sforzi fisici moderati (ginnastica praticata a scuola, giochi all’aria aperta, sport di gruppo non competitivi, cicloturismo ad andatura normale, judo, danza, vela) può essere sufficiente diminuire del 20% la dose di insulina che copre il periodo di tempo durante il quale si intende svolgere l’attività fisica; una norma prudenziale ulteriore è quella di svolgere l’esercizio entro le 3 ore che seguono il consumo di un pasto principale;
  • per sforzi fisici intensi (sci, competizioni in generale, corsa o marcia a velocità sostenuta), occorre diminuire la dose di insulina in maniera più consistente: del 50% e anche di più, in funzione dell’intensità e della durata dell’esercizio.

È buona norma iniettarsi l’insulina in zone non coinvolte direttamente nell’esercizio fisico (prediligere la regione periombelicale).

In caso di sforzo prolungato, è raccomandabile il consumo di carboidrati semplici a intervalli di 60 mm. e di carboidrati complessi (pasta, pane, riso) nelle ore successive alla sospensione dell’esercizio, perché l’ipoglicemia può comparire anche tardivamente. È importante bere durante lo sforzo fisico: acqua semplice o leggermente zuccherata (30 gr/litro) nella quantità di circa 200 mI/30 mm. Lo sforzo fisico non produce solamente ipoglicemia: non raramente si accompagna a un rapido deterioramento dell’equilibrio metabolico.

Ciò avviene in quei bambini che assumono una quantità di insulina insufficiente al loro reale bisogno: sono di base iperglicemici e la loro glicemia si fa progressivamente più elevata a causa di una produzione eccessiva di glucosio da parte del fegato e di una diminuita capacità del muscolo a utilizzare il glucosio in eccesso. La mancanza di insulina favorisce la lipolisi e la chetogenesi e, allora, compare una marcata chetosi. È illusorio fare conto sull’esercizio fisico da solo per compensare gli effetti di un diabete male equilibrato.

Tratto dal manuale “Assistenza al bambino e all’adolescente con il diabete” del Prof. Maurizio Vanelli – Parma

POSSONO I GIOVANI DIABETICI INSULINO-DIPENDENTI DEDICARSI AD ATTIVITA’ SPORTIVE DI LIVELLO AGONISTICO?

Carla Ciuti e Alberto Cossu
Istituto di Fisiologia Umana dell’Università di Cagliari

Il diabete è una malattia cronica che implica una alterazione nel metabolismo dei glucidi, lipidi e protidi. Una delle conseguenze di questa condizione patologica, nel caso in cui la compensazione metabolica della malattia non sia adeguata, è la riduzione della capacità di lavoro muscolare causata da un difettoso rifornimento di substrati energetici alle fibre muscolari in attività.

Questa condizione, insieme alla possibilità di uno stato di ipoglicemia che può instaurarsi durante l’esercizio fisico intenso e prolungato, spesso porta i genitori dei giovani diabetici a convincersi che la pratica di uno sport a livello agonistico sia per i propri figli una condizione rischiosa e quindi da evitare.

Tutto ciò nonostante che numerosi ed autorevoli studi di carattere epidemiologico abbiano messo in evidenza che nei diabetici l’incidenza di patologie cardiovascolari sia più elevata che nei soggetti non diabetici. Quindi, una delle condizioni che generalmente allontanano il rischio di tipo cardiovascolare, ovvero la pratica di uno sport condotta in modo continuativo, viene spesso preclusa a questi giovani.

Considerando che, in generale, una buona performance cardiocircolatoria si accompagna ad un miglioramento della capacità di lavoro fisico, con conseguenze positive anche nella sfera psichica, in un gruppo di giovani diabetici insulino-dipendenti che si dedicavano ad una attività sportiva a livello agonistico ( 5 soggetti maschi di età compresa tra i 17 e i 23 anni ), abbiamo intrapreso uno studio tendente a quantificare la risposta la risposta cardiocircolatoria ad un esercizio fisico di intensità progressivamente crescente, quale è la prova da sforzo triangolare al cicloergometro.

A questo proposito, le loro risposte sono state comparate con quelle di altri tre gruppi di soggetti coetanei, i quali erano formati rispettivamente da: atleti sani, diabetici con abitudini sedentarie e soggetti sani con abitudini sedentarie. Risultava che, in corrispondenza del 70% del carico lavorativo massimo (valore di carico lavorativo attorno al quale un soggetto sano raggiunge la soglia aerobica, ovvero una condizione entro la quale il lavoro prodotto è essenzialmente aerobico e quindi può essere protratto per un lungo periodo di tempo senza che subentri la fatica) la gettata sistolica ( volume di sangue che ad ogni battito viene introdotto dal ventricolo sinistro nell’aorta) negli atleti diabetici presentava un valore (40 ml per m2 di superficie corporea) che per quanto inferiore a quello degli atleti sani (44 ml per m2) era comunque superiore non solo a quello dei diabetici sedentari(37 ml per m2 ) ma anche a quello dei soggetti sani sedentari (36 ml per m2). Anche un altro importante indicatore della funzione cardiocircolatoria, le resistenze vascolari periferiche, rispetto alla condizione di riposo presentava variazioni simili negli atleti sani (- 41%) e diabetici (- 45%), e comunque l’entità di queste variazioni era notevolmente superiore rispetto a quella osservata nei diabetici (- 29%) e nei soggetti sani (- 26%) con abitudini sedentarie. Sia l’elevato incremento del volume di eiezione sistolica che la marcata riduzione delle resistenze vascolari periferiche, osservati nei diabetici atleti, sono indici di una elevata performance cardiocircolatoria durante l’esercizio fisico.

Ciò oltre ad indicare una riduzione del rischio cardiovascolare in genere, implica in questi pazienti che si dedicano allo sport di livello agonistico, il raggiungimento di una elevata capacità di lavoro fisico. Infatti, mentre il massimo carico lavorativo raggiunto dai diabetici atleti alla fine della prova da sforzo al cicloergometro (200 watt) era di poco inferiore a quello dei soggetti sani sedentari (180 watt).

La conclusione che emerge da questo studio è che, fatto salvo il buon controllo glico-metabolico, i giovani affetti da diabete insulino-dipendente possono senza altri problemi dedicarsi ad attività sportive di livello agonistico con la possibilità di ottenere affermazioni e risultati di grado non dissimile a quello ottenibile in soggetti non diabetici.

Scuola

IL GIOVANE DIABETICO E LA SCUOLA

Il trattamento del diabete necessita non soltanto della collaborazione della famiglia, del medico curante, dei servizi medico-sociali, ma anche degli insegnanti. È indispensabile che essi vengano informati esaurientemente delle esigenze quotidiane del bambino diabetico, degli inconvenienti ai quali può essere esposto, degli interventi da compiersi nell’emergenza. A questo fine, può essere utile indirizzare ai responsabili della scuola una lettera informativa come quella della quale qui viene dato un esempio.

‘Agli insegnanti di…

Fra i vostri allievi vi è un giovane diabetico. Chi è? un giovane come tutti gli altri che, a causa di un’insufficiente secrezione di insulina da parte del suo pancreas, presenta, in assenza di un trattamento sostitutivo quotidiano corretto, sintomi cimici o sete eccessiva, (aumento della diuresi dimagrimento) e anomalie biologiche (aumento dei livelli di glucosio nel sangue, presenza nelle urine di zucchero e, talvolta, di acetone).

Per rimediare a queste anomalie e per scongiurare ulteriori complicazioni, il giovane diabetico deve praticare, ogni giorno, una o più iniezioni di insulina: la dose viene calcolata in base ai risultati delle ricerche quantitative di zucchero, e di acetone nelle urine e in relazione alle eventuali manifestazioni cliniche anomale.

Un siffatto trattamento necessita, durante l’anno scolastico, della collaborazione della famiglia, del medico curante, dei servizi medico sociali della direzione scolastica e del corpo insegnante: il personale amministrativo e insegnante della scuola deve essere informato non solamente dell’esistenza del diabete, ma anche delle anomalie o degli incidenti possibili affinché possa prevenirli, rimediarvi o limitarne le conseguenze. Lo scopo di questo scritto è quello, appunto, di aiutarli.

Se il trattamento è praticato in maniera corretta, i1 giovane diabetico:

  • può e deve frequentare regolarmente la scuola;
  • può e deve ricevere un’alimentazione normale, sana ed equilibrata, identica a quella degli altri coetanei;
  • può e deve praticare le stesse attività fisiche e gli stessi sport, alla condizione che gli insegnanti di Educazione Fisica siano informati della esistenza del diabete;
  • può e deve praticare le vaccinazioni di legge.

Durante lo spazio di tempo che il giovane trascorre a scuola, possono sopraggiungere alcuni inconvenienti.

Se la somministrazione quotidiana di insulina è stata insufficiente, 11 giovane può essere disturbato da sete persistente o da imperioso stimolo a urinare. In tali circostanze, è sconveniente proibire al giovane di allontanarsi dalla classe per soddisfare le proprie necessità. Se, al contrario, la dose di insulina somministrata è stata eccessiva, può sopraggiungere un malessere da ipoglicemia.

I sintomi più frequenti sono:

  • semplice sensazione di fame;
  • fame imperiosa con “crampi allo stomaco;
  • sensazione di malore, di “testa vuota “, con sudorazione abbondante, pallore, mal di testa, vertigini e piccoli tremori.

Il malessere può manifestarsi, in alcuni, sotto forma di debolezza fisica (esempio: 11 giovane interrompe bruscamente l’attività, si isola o cammina con passi incerti); in altri sotto forma di irrequietezza e di sbalzi di umore.

Nel caso di un’ipoglicemia severa, possono sopraggiungere sonnolenza, perdita di coscienza e, talvolta, anche movimenti convulsivi. Nella maggior parte dei casi, comunque sia, il giovane avverte 11 sopraggiungere dell’ipoglicemia e vi pone facilmente rimedio ingerendo zucchero sotto forma di zollette, caramelle, ecc. È opportuno consentirgli di compiere questa operazione in classe, senza dover distogliere la propria attenzione dalla lezione. È indispensabile che il giovane diabetico possa vivere un‘esperienza scolastica normale, in mezzo agli altri.

Ciò è possibilissimo, a patto che la scuola e gli insegnanti vengano messi nella condizione di accoglierlo senza rischi. Questa lettera non è che un piccolo contributo alla soluzione di questo problema e porterà, se non altro, qualche rassicurazione.

Resta tuttavia sempre disponibile per ulteriori consigli il Servizio di Diabetologia della Clinica Pediatrica dell’Università di Parma” Il giovane con diabete deve vivere un’esperienza scolastica normale.

Tratto dal manuale “Assistenza al bambino e all’adolescente con il diabete” del Prof. Maurizio Vanelli – Parma

Malattie intercorrelate

Il diabete mellito non deve essere confuso con altri tipi di diabete che hanno caratteristiche ed origini diverse quali:

  • il diabete insipido (dovuto ad alterazioni del funzionamento dell’ipofisi e dell’ipotalamo);
  • il diabete renale dovuto ad alterazione del riassorbimento dello zucchero a livello dei reni;
  • il diabete non insulino-dipendente (tipo 2) che pare determinato da una cattiva utilizzazione dell’insulina da parte delle cellule dell’organismo (si cura generalmente con una dieta appropriata e Farmaci ipoglicemizzanti orali e colpisce persone in età adulta).

Il diabete insulino-dipendente (tipo 1), quindi, è determinato da una mancata produzione d’insulina da parte delle cellule del pancreas e per lo più esordisce durante l’infanzia e l’adolescenza e si cura con iniezioni d’insulina, dieta, esercizio fisico, vita regolare. Per l’alta incidenza e per le gravi complicanze che essa comporta, questa patologia è dichiarata malattia sociale in costante aumento.

Attualmente in Sardegna i diabetici sono circa 50.000, circa 10.000 sono insulino-dipendenti (di tipo 1), di questi oltre 2.000 sono bambini e adolescenti.

Anche i bambini possono avere il diabete

II diabete nel bambino e nell’adolescente riveste un aspetto molto particolare perché interessa il processo di crescita e sviluppo dell’individuo caratterizzato da profondi cambiamenti biologici e psico-sociali. La malattia pone problemi del tutto particolari in questa fase. rispetto al soggetto adulto. In Italia si stima un’incidenza annua di 6 nuovi casi tra 0 e 14 anni su 100.000 abitanti.

La cura più congeniale deve rispondere alle necessità di salute globale di quest’età. sviluppando programmi assistenziali che tengono conto in maniera integrata delle esigenze biologiche, emozionali e sociali dei bambini e degli adolescenti.

Il benessere di costoro è legato a due o tre iniezioni d’insulina al giorno. A loro occorrono controlli medici regolari, un’alimentazione adeguata, un’attività fisica preorganizzata, e soprattutto un’istruzione ed una educazione sistematica che li porterà alla conquista dell’autocontrollo e dell’autogestione della malattia, stabilendo così con essa una convivenza che permetterà loro una conduzione di vita del tutto sovrapponibile a quella dei coetanei non diabetici.

Fino ai 10-11 anni la terapia diabetica è affidata ai genitori che necessitano di una adeguata istruzione e educazione per evitare che assumano atteggiamenti sbagliati che possono compromettere l’efficacia della cura e l’evoluzione psicologica del bambino: ansietà, ipoprotezione, commiserazione, sensi di colpa. Già da quest’età però, il bambino deve imparare a farsi i controlli, le iniezioni, a discutere sulla dose d’insulina da iniettare. Ma se dopo aver imparato preferisce che le iniezioni gliele faccia la mamma non è opportuno contrariarlo.

II bambino con il diabete va trattato come un bambino qualunque. Occorre abituarlo a respingere e combattere l’idea di una sua diversità. Dopo i 12 anni, gradualmente la responsabilità della terapia deve passare dai genitori all’adolescente fino alla completa autosufficienza del giovane.

L’educazione permanente, rivolta a questa fascia d’età, tende a evitare la tendenza ad ignorare la presenza del diabete ed ad agire come se non ci fosse, con gravi conseguenze sulla prevenzione delle complicanze.

Che cosa si fa per la prevenzione e la ricerca

Già da qualche anno, I’ O.M.S. (Organizzazione Mondiale Sanità) ha avviato in studio Diamond (diabete mondiale) che coinvolge 104 Centri di 54 paesi.

II protocollo che se ne conseguirà, avrà lo scopo di monitorizzare fino al Duemila, l’incidenza del diabete insulino-dipendente e di identificare i fattori scatenanti la malattia. Soltanto così le strategie della prevenzione diventeranno realtà.

Contemporaneamente, diabetologi e ricercatori stanno valorizzando un unico comune denominatore: lo screening dei soggetti pre-diabetici. Identificando i soggetti a rischio: obesi, consanguinei di diabetici. coloro che fanno una vita troppo sedentaria, ecc., sarebbe possibile prevenire lo sviluppo del diabete, intervenendo con metodologie farmacologiche avanzate che andrebbero a proteggere le cellule pancreatiche non ancora del tutto compromesse.

Per chi è già diabetico, un’efficace prevenzione è mantenere un buon controllo della glicemia per poter vivere una vita normale e ridurre del 60/70 % le complicanze.

La ricerca biomedica e farmacologica, per sconfiggere il diabete, è in grande evoluzione: si parla di trapianti d’isole pancreatiche, di pancreas artificiale, di manipolazioni genetiche, di nuove insuline ad azione rapida, di analoghi ad assorbimento istantaneo. In studio avanzato anche le vie di somministrazione della stessa insulina: nasale, orale, oculare, sublinguale, rettale, transdermica. Vicino al traguardo sarebbero le compresse e lo spray nasale anche se occorrerà qualche anno per stabilire se potranno sostituire del tutto la tradizionale insulinoterapia per via sottocutanea.

La cura

Curare il diabete comporta una spesa annua, per il monitoraggio, di 500 miliardi di lire, mentre la spesa complessiva raggiunge i 5.000 miliardi di lire. Questo vuol affermare che il 90%, della spesa è usata per assistere i diabetici con complicanze. Di qui la necessità di chiedere una migliore assistenza e di spendere un maggior impegno nell’attività preventiva: si ridurrebbero il numero dei diabetici con complicanze e di conseguenza i costi. Come un giovane diabetico e la sua famiglia dovranno affrontare la malattia?

Innanzitutto affidandosi ad un “team diabetologico” che “formerà’ il nuovo paziente e la sua famiglia tessendo una stretta collaborazione con loro.

Si apprenderà così che la cura del diabete insulino-dipendente. consta di quattro strumenti principali:

  • la terapia insulinica;
  • la dieta;
  • l’educazione sanitaria.

Un bambino o un giovane con il diabete mellito, necessitano d’iniezioni sottocutanee quotidiane d’insulina.

La pratica dell’autocontrollo domiciliare, per fortuna ormai d’uso comune, permette al diabetico di decidere individualmente, di volta in volta, il tipo d’insulina, la quantità da iniettare e il numero delle iniezioni da praticare ricorrendo anche all’ausilio di appositi strumenti: i reflettometri. La dieta che un giovane diabetico insulino-dipendente deve assumere, grazie all’insulina, è una dieta equilibrata, igienica, regolare. (farebbe bene a tutti), ma con particolari accorgimenti per l’assunzione degli zuccheri semplici a pronto assorbimento. È consigliabile che il giovane diabetico pratichi un’attività fisica, meglio se sistematica e programmata nell’arco della giornata. In caso contrario, di volta in volta si dovrà correggere il dispendio di energia non programmato, ingerendo altro zucchero, per evitare ipoglicemia. L’esercizio fisico migliora l’utilizzazione del glucosio, permette una riduzione della dose giornaliera di insulina, rafforza il carattere c aiuta ad aggiungere un migliore equilibro psicofisico.

Educare è molto più che informare

L’educazione sanitaria di persona affetta da diabete e a volte sottovalutata, ma merita, invece, una particolare attenzione. Essa non è un’aggiunta alla cura, ma deve essere considerata come un cardine su cui poggiare tutti gli approcci terapeutici. L’indispensabile istruzione mette il giovane diabetico in grado di servirsi in maniera corretta di tutti gli strumenti a disposizione per curarsi; ma per accettare il diabete come condizione di vita. un genere di vita sovrapponibile a tutte le altre, il diabetico deve sviluppare comportamenti “intelligenti’ che gli consentano di organizzare il rapporto con se stesso e con gli altri nel contesto della propria malattia.

Per far sì che questo avvenga, è necessario che l’équipe diabetologica, ponendo attenzione alla globalità fisico-psico-sociale del bambino e giovane diabetico, con un’efficace interazione educativa, consenta a questi di apprendere non solo specifiche nozioni e abilità pratiche sul diabete, ma attitudini positive sul loro stato di diabetici, interesse per l’intervento terapeutico e la convinzione di essere in grado di poter autogestire la malattia.

Un ruolo complementare a quello del medico, in questo processo educativo, lo svolge anche il farmacista che, con il rapporto diretto con il diabetico e i suoi familiari e con i soggetti a rischio, si pone in una posizione di rilievo per contribuire a migliorare sia l’educazione e l’informazione dei pazienti diabetici e sia la prevenzione delle complicanze, ponendosi come interlocutore, per una scelta informata delle opzioni disponibili.

Attenzione, è importante sapere che:

Un sovradosaggio d’insulina, un’irregolarità nei pasti, un’attività fisica intensa.

L’assunzione d’alcool specie a digiuno, sono cause di una diminuzione dei valori dello zucchero nel sangue (glicemia)sotto alla norma.

Questo processo si chiama ipoglicemia e può essere più o meno severa. Conoscere i sintomi, le cause e sapere come trattare e prevenire la crisi ipoglicemia è essenziale per il giovane diabetico ed i suoi familiari.

Tremore, sudorazione, palpitazioni, irritabilità, mal di testa, vertigini, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, apatia sono i sintomi più frequenti di una lieve o moderata ipoglicemia. II diabetico è in grado di riconoscere i sintomi c assumere zuccheri a rapido assorbimento per bocca (zollette di zucchero, un bicchiere di coca cola, un succo di frutta, che immediatamente tenderanno a normalizzare la situazione).

Se il grado di ipoglicemia è severo, il diabetico perde conoscenza, può avere convulsioni, può arrivare al coma. In questo caso ha bisogno dell’assistenza di altre persone: famigliari, amici, insegnanti….

Questi dovranno sapere che è pericoloso somministrare, nello stato d’incoscienza, zuccheri per bocca, e che dovranno immediatamente somministrare almeno una fiala di glucagone per via intramuscolare. Appena la situazione tenderà a migliorare, accompagneranno il diabetico al Centro Diabetologico.

Al contrario, una mancata somministrazione d’insulina o una riduzione della dose, abusi alimentari ripetuti, malattie concomitanti, traumi, interventi chirurgici, cessazione dell’attività fisica abituale determinano un aumento di zucchero nel sangue (questo processo è l’iperglicemia).

Se non si rimedia, come immediata soluzione, aumentando l’insulina, la situazione può peggiorare nel giro di qualche giorno, portando alla cheto-acidosi e, se protratta ancora, al coma diabetico.

Primi sintomi evidenti di questa situazione sono: urine frequenti, sete insolita, fame esagerata, improvvisa perdita di peso, sensazione di stanchezza, sonnolenza. Se l’iperglicemia non viene corretta, i sintomi si aggravano con senso di nausea e vomito, dolori addominali, respiro affannoso, alito che odora dì acetone. In presenza di questi sintomi, rivolgersi al più presto al Centro diabetologico o al pronto soccorso del più vicino ospedale.

Come aiutare un diabetico in crisi

Una persona con diabete giovanile che gioca, studia, lavora dovrebbe riconoscere subito i primi sintomi di una crisi ipoglicemica e di uno stato iperglicemico. A volte la situazione anomala si instaura lentamente, ma talvolta può essere improvvisa. Se doveste incontrare una persona barcollante, incapace di parlare chiaramente o già priva di conoscenza, non pensate subito come molti fanno, che sia ubriaca o drogata o che non abbia bisogno di aiuto immediato.

Potrebbe essere una situazione molto pericolosa, in quanto il barcollare, la confusione o la mancanza di conoscenza potrebbero caratterizzare. la persona diabetica durante una crisi ipoglicemica o addirittura in procinto di entrare in coma diabetico .

È facile riconoscere se una persona è ubriaca husta annusare il fiato che odorerà d’alcool. Ma se l’alito odora di dolce o di frutta e se la sua carnagione è rossa, bollente e asciutta, si può trattare di crisi iperglicemica.

Sc la carnagione è fredda, pallida, bagnata di sudore si può trattare di una crisi ipoglicemica.

In ogni caso questa persona ha bisogno immediato di un medico. Se avete qualche dubbio, curate il diabetico in stato cosciente, con dello zucchero. Una piccola quantità (due o tre zollette) non porterà alcun danno.

Come sostenere un bambino con il diabete

Le persone che sono in contatto con un bambino con il diabete devono attenersi a qualche semplice regola ed avere un minimo di conoscenza per potersene occupare senza angoscia. È importante per insegnanti, personale scolastico, addetti alla cucina, guidatori di scuolabus, ecc. essere avvertiti se uno studente ha il diabete.

In generale, se vi dovete prendere cura di un bambino con il diabete, specialmente se molto piccolo, dovete:

  • osservare il suo comportamento subito prima dei pasti;
  • non fargli fare esercizio fisico, subito prima dei pasti;
  • aiutarlo a mangiare, se necessita di uno spuntino, a metà della mattinata (o pomeriggio), nel modo più normale e meno appariscente possibile;
  • incoraggiarlo a portare con se qualche zolletta di zucchero (i bambini diabetici imparano in fretta a riconoscere e controllare le proprie reazioni);
  • assicurarsi che prenda carboidrati extra prima di un esercizio faticoso onde evitare una crisi;
  • impedire, se avete il dubbio che possa incorrere in una crisi ipoglicemica, che il bambino vada a casa da solo;
  • avere a disposizione sempre zuccheri a rapido assorbimento; avere a disposizione il glucagone ed essere. addestrati ad usarlo in caso di emergenza;
  • misurare la glicemia quando si teme un episodio d ipoglicemia;
  • misurare anche la glicosuria specialmente quando si sospetta una cheto-acidosi;
  • fargli assumere zuccheri ai primi sospetti d’ipoglicemia;
  • informare l’Équipe diabetologica dell’episodio;
  • annotare sul diario, le cause che possono aver provocato I’ipoglicemia.

Una persona con il diabete giovanile deve:

  • prendere insulina ogni giorno;
  • comprendere l’importanza della dieta e dell’esercizio fisico;
  • controllare frequentemente la quantità di glucosio nelle urine (glicosuria) e nel sangue (glicemia);
  • fare esami annuali per il fisico e gli occhi ed altri test speciali;
  • sottoporsi ogni tre mesi all’esame dell’emoglobina glicata Portare con sé, in ogni occasione dolci o zucchero;
  • possedere un segno di riconoscimento che indichi che la persona in questione è diabetica, che fa uso d’insulina ed annotare il nome e il numero di telefono del proprio medico.

In caso di viaggi:

  • portare insulina ed aghi nei bagagli a mano (l’insulina, le siringhe ed il diabetico dovrebbero sempre viaggiare insieme);
  • portare con sé riserve di alimenti (carboidrati);
  • premunirsi dell’indirizzo dell’Associazione Diabetici del paese in cui si è diretti.
Igiene

L’IGIENE CORPOREA

È indispensabile che ogni diabetico osservi un’igiene corporea perfetta. In particolare, denti e piedi non vanno trascurati.

I denti

Le affezioni dentarie possono influire negativamente sul controllo della glicemia.

Secondo alcuni studiosi, l’origine delle affezioni bucco-dentarie è la stessa delle altre affezioni a cui il diabetico è facilmente esposto: le prolungate iperglicemie diminuirebbero la capacità dei leucociti di fagocitare e neutralizzare gli agenti batterici che così avrebbero modo di sviluppare il loro effetto patogeno.

Secondo altri, invece, i diabetici sarebbero predisposti a carie, gengiviti e paradontopatie a causa di una secrezione salivare poco abbondante e acida; anche questa anomalia può comunque essere attribuita allo squilibrio metabolico.

Il giovane con diabete deve sottoporsi a controlli odontoiatrici almeno due volte all’anno e, se necessario, iniziare le cure tempestivamente; ma il sospetto di una diatesi emorragica scoraggia di sovente l’opera dell’odontoiatria.

Si tratta, in realtà di un’erronea convinzione in quanto è stato documentato che, se anomalia esiste, questa riguarda la tendenza del sangue del soggetto diabetico a ipercoagulare.

Questo fenomeno è confermato da almeno due osservazioni scientifiche: l’aumento della sensibilità piastrinica agli stimoli aggreganti, l’aumento della concentrazione di alcuni fattori della coagulazione e la diminuzione dell’attività fibrinolitica.

Alcuni genitori nascondono all’odontoiatra la condizione diabetica del proprio figliolo nella prospettiva di agevolare e affrettare le cure; è necessario invece che il dentista sia informato che il paziente è diabetico, che pratica iniezioni di insulina e che è in grado di documentare la qualità del proprio controllo metabolico.

Due momenti nella giornata di un bambino diabetico sembrano più adatti per sottoporlo alle cure dentarie: la tarda mattinata e il pomeriggio inoltrato.

Entro tale fascia di orario, le eventuali poussées glicemiche del risveglio e del post-pranzo sono ormai rientrate entro limiti ragionevolmente tollerabili.

La maggior parte degli interventi bucco-dentari si svolge abitualmente sotto anestesia loco-regionale e i farmaci utilizzati (specie se non accoppiati all’adrenalina) non disturbano, in genere, i livelli glicemici.

Questa tecnica anestesiologica presenta indubbi vantag gi: rispetto degli orari abituali dei pasti e ripresa precoce dell’alimentazione; assenza di turbe ventilatorie e tossicità cellulare da anestetici; conservazione della coscienza con conseguente agevole riconoscimento di un malore da ipoglicemia.

Vi può essere però qualche inconveniente: nei bambini e negli adolescenti particolarmente ansiosi, l’anestesia ioco-regionale non elimina l’angoscia operatoria.

Questo stato d’animo è un formidabile stimolo per la secrezione, in particolare, di adrenalina e glucagone, due ormoni che, agendo sul fegato, fanno aumentare la glicemia.

Occorre perciò preparare adeguatamente il giovane con diabete alle cure dentarie informandolo in anticipo delle manipolazioni alle quali sarà sottoposto; d’altronde, egli è già predisposto all’informazione sanitaria in quanto è proprio su di essa che appoggia la sua autonomia terapeutica.

I piedi

Le complicanze a carico delle estremità inferiori sono da temersi in quanto gravemente invalidanti.

Già nei primi anni di diabete, il giovane deve impegnarsi in una strategia di prevenzione.

Qualche consiglio pratico:

  • lavare i piedi ogni giorno con acqua tiepida; il pediluvio deve essere di breve durata per evitare la macerazione della cute;
  • asciugare accuratamente specie negli spazi interdigitali;
  • esaminare i piedi ogni giorno allo scopo di rilevare lesioni anche modeste (bolle, ferite, screpolature, arrossamenti, callosità);
  • usare uno specchio per l’ispezione plantare;
  • non usare disinfettanti irritanti e lesivi (tintura di iodio, acqua ossigenata) né agenti chimici cheratolitici per calli e duroni (callifughi);
  • applicare, nel caso di lesioni cutanee, soltanto cerotti che consentano la traspirazione della cute;
  • ammorbidire la cute secca con crema di vaselina;
  • fare uso di scarpe comode e morbide; evitare sandali con cinghie fra le dita;
  • non camminare mai scalzi né con scarpe senza utilizzare calze;
  • tagliare le unghie in linea retta e mai agli angoli;
  • sagomarle con lima di cartone;
  • non usare lamette per tagliare i calli;
  • in caso di freddolosità notturna indossare calze di lana evitando borse di acqua calda o termofori;
  • se necessario, affidarsi a un podologo esperto;
  • avvisare il medico curante se si rilevano lesioni o se si lamentano disturbi alle estremità.

L’igiene della bocca è importantissima: un’affezione dentaria può negativamente in fluire sul controllo della glicemia.

Tratto dal manuale “Assistenza al bambino e all’adolescente con il diabete” del Prof. Maurizio Vanelli – Parma

Educazione sanitaria

EDUCAZIONE SANITARIA QUARTO MEZZO TERAPEUTICO

L’educazione sanitaria è considerata oggi il quarto mezzo terapeutico nella cura del diabete, accanto all’insulina, all’alimentazione e all’attività fisica.

Di questa nuova realtà si è fatta interprete, fra l’altro, anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità affermando che è “una pietra angolare della terapia diabetologica e di importanza vitale per l’integrazione del diabetico nella società”.

I benefici che l’educazione ha portato sono molteplici: in genere, si ricordano l’autonomia terapeutica, la prevenzione delle complicanze, il contenimento dei costi assistenziali.

Perché educare?

La risposta la diede, 70 anni fa, il dottor Elliot P. Joslin, pioniere della diabetologia moderna: “il paziente diabetico più informato sulla propria malattia vive più a lungo”.

Se analizziamo i progressi compiuti, in questo secolo, nel trattamento del diabete possiamo comprendere l’importanza che ha avuto questa geniale intuizione, rivoluzionaria rispetto ai tempi in cui venne concepita. I diabetici hanno beneficiato di tre avvenimenti in particolare:

  1. della scoperta dell’insulina (1922) che ha posto rimedio alla prospettiva di una morte certa e precoce;
  2. dell’uso comune degli antibiotici (1950) che ha consentito di debellare le complicanze infettive;
  3. dell’educazione sanitaria che ha portato la loro sopravvivenza molto vicino alla media della popolazione generale.

Oggi, vi sono nuovi motivi per continuare a educare i diabetici a curarsi da soli.

Ad esempio per:

  • migliorare la qualità della vita conquistata rendendola, al contempo, più produttiva e utile;
  • alleggerire l’onere assistenziale della famiglia, della comunità, del sistema sanitario.

Chi educare?

Non solo il paziente con diabete deve essere educato, ma anche i suoi familiari più stretti.

Questo vale soprattutto per i genitori dei bambini di età inferiore ai 12 anni sui quali cade l’intera responsabilità del trattamento.

Educatori non ci si improvvisa. È fondamentale, di conseguenza, che l’Equipe destinata all’insegnamento venga formata dal punto di vista sia pedagogico, sia medico in maniera da esprimere uniformità di linguaggio e di intervento. Essa deve avere la possibilità di verificare periodicamente il proprio operato in senso critico.

Si discute se convenga, e in quale misura, coinvolgere la scuola. È nostra convinzione che gli interventi, a questo livello, debbano essere più informativi che coinvolgenti.

La richiesta di prestazioni o di vigilanze particolari potrebbe scatenare reazioni nocive al reinserimento del giovane con diabete nel proprio ambiente di vita.

Che cosa insegnare?

Si devono insegnare cose semplici, sempre comunque proporzionate alla capacità di assimilarle da parte del giovane e/o dei familiari.

Qualunque cosa si insegni, però, dovrà essere illustrata in maniera chiara ed esauriente.

Non bisogna mai dimenticare che lo scopo dell’insegnamento è di consentire ai pazienti di curarsi bene e di acquisire abitudini che permettano, con il minimo sforzo e il massimo rendimento, di adattare le misure terapeutiche alla vita di tutti i giorni.

L’infermiera ha un ruolo di primo piano nell’istruzione pratica del giovane con diabete.

Prima ancora di essere istruito, il paziente e/o i genitori desiderano essere informati su ciò che è accaduto, come è avvenuto, se poteva essere prevenuto, se è possibile la guarigione.

Il momento è delicato e un passo falso, a questo stadio iniziale, può mettere gravi ipoteche sulla futura opera di educazione.

Il protagonista di questo approccio preliminare deve essere il pediatra diabetologo che, agli occhi del bambino e dei familiari, assume la statura dell’autorità terapeutica: è lui infatti ad aver scelto e diretto gli interventi che hanno riportato il benessere fisico; è lui che decide le dosi di insulina, è lui che pianifica la distribuzione dell’alimentazione. Egli però non deve essere solo. Dietro le quinte deve agire, di concreto, con la psicologa e con il pediatra curante, l’unico che conosce la reale dimensione socio-culturale nella quale il bambino è cresciuto e continuerà a vivere.

La collaborazione è utile per non chiedere partecipazioni sproporzionate alle conoscenze e alle attitudini della famiglia.

Una volta esaurita questa fase di introduzione all’educazione – che dura, in genere, 2-3 giorni – può prendere avvio l’istruzione vera e propria che riguarderà:

  • anzitutto, le prospettive di vita che sono notevolmente migliorate dai giorni pre-insulina a quelli nostri;
  • l’esecuzione degli esami del sangue e delle urine e la loro utilizzazione per l’adeguamento giornaliero delle dosi di insulina;
  • le norme comportamentali pratiche per prevenire, riconoscere e trattare gli scompensi acuti;
  • l’utilità dei controlli clinici, laboratoristici e strumentali per la prevenzione delle complicanze;
  • gli accorgimenti per affrontare viaggi, vacanze, vita di relazione.

Come insegnare?

Sono stati proposti programmi fondati, ora sul rapporto con il paziente, ora sull’uso dei mezzi audiovisivi, ora su manuali divulgativi.

La maggioranza dei pazienti e dei loro genitori preferisce un insegnamento di tipo individualizzato. Ciò comporta un grosso impegno di tempo e di organizzazione sia da parte dell’Equipe diabetologica, sia da parte della famiglia del bambino diabetico. Istruire individualmente significa non soltanto prolungare la durata della consultazione, ma ripeterla frequentemente nel tempo, almeno durante i primi tre mesi.

Per quanto concerne la successione delle sedute di istruzione, ogni Centro segue un proprio schema. Quello proposto qui di seguito è solamente un esempio:

  • durante la prima settimana che segue la formulazione della diagnosi, il nucleo familiare viene incontrato tutti i giorni;
  • durante le successive tre settimane, ogni tre giorni;
  • a partire dalla quarta settimana, e per altre quattro, ogni 7 giorni;
  • dal terzo mese, e per i successivi tre, ogni 30 giorni;
  • dal sesto mese, gli incontri si susseguono al ritmo di 2-3 mesi. Si tratta, come si vede, di un cammino lungo, da percorrersi senza fretta e senza lasciarsi alle spalle nulla di incompreso e di incompiuto.

Quando insegnare?

Fondamentale è sapere cogliere il momento più opportuno per coinvolgere il giovane con diabete nella gestione dei suoi disturbi e modulare il programma d’insegnamento in rapporto all’età del soggetto.

Su quest’ultimo punto non esiste uniformità di vedute. Questa è la nostra proposta:

  • lasciare ai genitori l’intero onere della sorveglianza e del trattamento quando il bambino ha meno di 8 anni.

Dopo questa età, cominciare l’educazione così articolata:

  • ai ragazzi fra gli 8 e i 10 anni, insegnare la tecnica dell’iniezione; la determinazione della glicosuria e della glicemia; la compilazione del diario; l’importanza di un’alimentazione regolare e frazionata;
  • oltre i 10 anni, non vi sono di regola difficoltà perché il giovane impari ad aspirare e miscelare le insuline; a distinguere i sintomi e i segni dell’ipo e dell’iperglicemia; a conoscere la patologia nei suoi aspetti più generali;
  • negli anni dell’adolescenza, l’insegnamento riguarderà la conoscenza approfondita del diabete; l’adattamento delle dosi di insulina; la correzione della chetoacidosi al suo esordio; i rischi connessi con il cattivo controllo metabolico e la possibilità di prevenirli.

Importante, nell’esecuzione di un programma educativo, non è l’età, ma conoscere che cosa in realtà il bambino è in grado di recepire dagli insegnamenti che gli vengono impartiti.

Ciò è possibile dopo avere studiato le concezioni spontanee che egli ha sul suo stato di salute, sul suo corpo e sulle manipolazioni alle quali esso viene sottoposto.

Tutto questo perché la rappresentazione che il bambino si “fa” del diabete è molto probabilmente differente da quella che gli adulti gli attribuiscono.

Le implicazioni: è inutile spiegare al bambino che cos’è il diabete senza porsi realmente dal suo punto di vista e di comprensione del problema. Si ritorna al capitolo precedente: interventi strettamente personalizzati.

Tratto dal manuale “Assistenza al bambino e all’adolescente con il diabete” del Prof. Maurizio Vanelli – Parma

vanelli@unipr.it

Acquisizioni sull'eziopatogenesi del diabete 1

Marco Songini, Mattia Locatelli e Gian Franco Bottazzo* per conto dei “IDDM-Sardinia Study Groups”

Presentazione

Quando emersero i primi dati dello studio EURODIAB-ACE, che indicavano la Sardegna come una vistosa eccezione nel panorama dell’incidenza del diabete di tipo 1 in Europa, ci si rese subito conto della grande occasione che si prospettava per studiare da un lato l’eziopatogenesi e, dall’altro, la storia naturale di questa malattia.

In quanto isola, la Sardegna presenta due importanti caratteristiche che la rendono unica come osservatorio epidemiologico: possiede una componente ambientale circoscritta e, soprattutto, un assetto genetico che si è sviluppato storicamente in modo autonomo e con scarse influenze esterne. Queste due caratteristiche rappresentano senz’altro il miglior presupposto per cercare di risolvere il dilemma: il diabete di tipo 1 è una malattia genetica oppure è la conseguenza dell’azione di un fattore ambientale? Sono ormai dieci anni che i “gruppi di studio IDDM-Sardegna” si stanno impegnando a fondo nel tentare di risolvere questo dilemma e in questa rassegna verranno riassunti i principali risultati che finora sono emersi. L’assetto genetico resta uno dei fattori determinanti nell’eziopatogenesi del diabete di tipo 1.

Questo dato è confermato sia dagli studi sugli emigranti sardi, che dimostrano una prevalenza della malattia simile a quella registrata nell’isola, sia dagli studi sulla prevalenza degli autoanticorpi anti-isola pancreatica. In generale, la presenza di queste specificità autoanticorpali ha una predittività massima tra i gemelli monozigoti (100%), lievemente più bassa (75%) tra i parenti di primo grado di un familare con diabete di tipo 1, ma cade drammaticamente quando viene applicata alla popolazione generale (24%). Quest’ultimo dato, emerso proprio dallo studio condotto in Sardegna, è piuttosto sconfortante, se si considera che circa il 90% dei nuovi casi di diabete tipo 1 sono “sporadici”, ossia senza storia familiare della malattia. L’approccio puramente genetico al problema, nonostante oggi si conosca una numerosa serie di marcatori genetici per il diabete di tipo 1 (sia predisponenti che protettivi), resta tuttavia inadeguato, in quanto solo una piccola proporzione di individui geneticamente a rischio diventa diabetico.

Quindi, allo stato attuale delle conoscenze, la genetica è sicuramente in grado di individuare con maggiore accuratezza una quota di coloro che non svilupperanno la malattia, rispetto a quelli che invece la svilupperanno. Anche l’approccio puramente immunologico però, come si è visto, non è ancora in grado di predire in modo soddisfacente l’esordio della malattia nella popolazione generale, un concetto che viene ancor più enfatizzato se si considera che i dati sono emersi studiando una popolazione che presenta una delle più elevate incidenze di diabete di tipo 1 nel mondo. Ci sono poi gli inquietanti dati epidemiologici che emergono in continuazione e che si possono riassumere in due osservazioni: primo, l’incidenza della malattia nell’isola continua inesorabilmente ad aumentare; secondo, il suo esordio clinico tende a manifestarsi in una fascia d’età sempre più giovane (0-5 anni).

Come è possibile conciliare queste due osservazioni, se non invocando “l’effetto ambiente” che sembra ora agire in fasi sempre più precoci della vita, e capace di scatenare il processo autoimmune solo in individui geneticamente predisposti? Ed è forse in gioco solamente l’isola pancreatico oppure anche altri organi sono coinvolti nel processo autoimmune, dal momento che in Sardegna vengono segnalate anche elevate prevalenze per altre malattie autoimmuni, come la malattia celiaca subclinica, la sclerosi multipla e, forse, la tireopatia autoimmune?

Sebbene gli sforzi finora compiuti non hanno permesso di individuare e di caratterizzare un fattore ambientale preciso, responsabile del danno cellulare, sono ancora molte le variabili che devono essere prese in considerazione e che potrebbero rivelarsi determinanti, se lo studio potrà continuare con la stessa enfasi degli ultimi dieci anni. Per il momento resta prioritario continuare a portare avanti gli studi epidemiologici allargati nella popolazione generale sarda, per poter sviluppare modelli di predizione sempre più accurati ed efficaci. L’identificazione degli individui a rischio permetterà infatti di circoscrivere e di confrontare con maggior precisione i microambienti di provenienza ma, soprattutto, ci darà la possibilità di estendere l’applicazione delle strategie di prevenzione attualmente in fase di sperimentazione o, quantomeno, di intervenire con una terapia insulinica molto precoce. Il convincimento è che la Sardegna contenga il segreto della causa del diabete di tipo 1.

**Unità di Predizione e Prevenzione dell’ IDDM, Azienda Ospedaliera Brotzu, Cagliari.

E mail : songinim@tin.it

*Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, Roma.

La G6pd carenza determina un abbassamento dei valori di HbA1c

Giampiero Pisano*, M.A.Fois*, Roberta Pisano**

*Servizio di Diabetologia , Ospedale di Isili (A.S.L. n° 3 – Nuoro)

**Centro Diabetologico, Policlinico Universitario Cagliari

Premessa

In Sardegna è presente un’elevata percentuale di soggetti presentanti un deficit enzimatico di glucosio-sei-fosfato-deidrogenasi G6PD). Notoriamente l’ingestione di fave, specie fresche, può scatenare nei G6pd carenti le crisi emolitiche (favismo acuto). Anche l’assunzione di taluni farmaci può determinare emolisi delle emazie. Circa il 20% della popolazione sarda è portatrice di carenza totale o parziale. Mentre i soggetti di sesso femminile possono presentare il difetto enzimatico in forma totale o parziale, i maschi possono presentare lo stato di carenza solo in forma totale. Per tale motivo in questo studio abbiamo preferito presentare una popolazione di soli soggetti di sesso maschile, i quali presentano o una carenza totale di enzima G6PD o non sono affatto carenti.

Scopo dello studio

Obiettivo del nostro lavoro era di verificare se esista o meno una correlazione tra livelli di G6PD e valori di HbA1c.

A tale scopo incluso nello studio la popolazione di soggetti di sesso maschile afferenti al Servizio di Diabetologia dell’Ospedale di Isili (Nuoro), con valori quantitativamente noti di G6PD (determinata nel laboratorio centrale con metodica quantitativa Lab-system), affetti da diabete di tipo 2 o con intolleranza al glucosio, in trattamento con dieta o con terapia insulinica. Se in trattamento con ipoglicemizzanti orali, l’inizio della loro somministrazione doveva risalire ad almeno sei mesi prima. Sono stati esclusi dallo studio i soggetti con affetti da gravi emiglobinopatie ed emopatie, i soggetti con emoglobina glicosilata anomala.

I soggetti studiati, con valori noti di G6PD, venivano prelevati al mattino, dopo digiuno di almeno dodici ore. Venivano saggiati la glicemia del mattino e sullo stesso prelievo veniva determinata la HbA1c.

Metodo applicato

Abbiamo diviso la popolazione in due gruppi: Gruppo N (292 soggetti G6PD normali); Gruppo C (55 soggetti G6PD carenti). Abbiamo considerato le glicemia a digiuno determinate nel laboratorio (metodo…) e le abbiamo correlate allHbA1c (determinato nel nostro Servizio con metodica Hplc Menarini Ha-8140.

Risultati e conclusioni

Non sono state rilevate differenze statisticamente significative tra le glicemia dei due gruppi (152 vs 160). E’ stata evidenziata una differenza statisticamente significativa 6,7 vs 5,3 tra G6pd non carenti e G6pd carenti. Il rapporto glicemia/Hba1c mostra altresì una differenza statisticamente significativa (22 vs 30).

Quanto detto porta a sottostimare le emoglobine glicosilate dei soggetti G6PD carenti, facendoli apparire, a parità di medie glicemiche, meglio compensati dei G6PD normali.

Bibliografia essenziale

1) Mastinu F., Soro M., Pisano GP et al.: La G6PD carenza influenza i valori di HbA1c nel Diabete Gestazionale, XII Giornate Diabetologiche Sarde: Aspetti attuali del Diabete Mellito 220-223, 2000

2) Mastinu F., Soro et al.: HbA1c nelle G6PD carenza: differente interpretazione clinica dei risultati. Riunione scientifica SID AMD Sardegna 1998